I principi di uguaglianza tra uomo e donna, in relazione alla presente analisi, risalgono in linea generale alla stesura del Trattato di Roma (1957) istituente la Comunità Economica Europea, nel quale si evidenziava il diritto alla stessa retribuzione economica a parità di mansione svolta.
Mentre l’attuale versione aggiornata del Trattato, che nel frattempo è divenuto quell’Unione Europea, si contempla il valore (ex art. 2) e si tutela il diritto (ex art. 3) e si promuovono le azioni positive (ex art. 8) prevedendo diversi articoli in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (il cui effetto giuridico è stato riconosciuto vincolante alla stregua dei Trattati succedutesi nel tempo, con l’entrata in vigore nel dicembre 2009 del trattato di Lisbona) ha previsto che la parità debba essere assicurata “in tutti i campi…. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato1”.
Nel tempo il numero delle donne nel mondo del lavoro europeo è molto cresciuto (specialmente a partire dagli anni novanta nelle società) ma non nei contesti decisionali e di potere che concernono il mondo societario e politico, pubblico e privato.
Il 5 marzo 2010 la Commissione adottava la “Women’s charter” (carta delle donne)2, rimarcando nelle premesse che “oggi si laureano più donne che uomini” e che l’adozione di una vera parità tra uomo e donna fosse dunque una strategia per valorizzare i propri talenti ed applicare le proprie capacità.

Gli obiettivi essenziali della carta sono i seguenti:
Con l’intento di attuare tali strategie, la Commissione Europea persegue un approccio a doppio binario:
La Commissione Europea ha incominciato così ad occuparsi in modo esplicito della diversità di genere nel processo decisionale economico proprio e solo a partire dal 2010.
Nel documento “Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015” (COM(2010) 491 final) e nei vari aggiornamenti a tale strategia, la Commissione ha verificato che il genere meno rappresentato risulta essere quello femminile con una percentuale di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate europee pari al 12%, del quale nel successivo documento “Il bilancio di genere nella leadership degli affari”(2010) risultavano solo il 3% le donne in posizioni apicali nelle principali società quotate europee.
La Vice Presidente della Commissione europea Viviane Reding ha così invitato le società quotate in borsa ad attuare alcune azioni:
- adozione da parte di tali società di un “impegno formale3 per più donne alla guida delle imprese europee” (marzo 2011): l’impegno, che se sottoscritto viene reso pubblico, deve essere siglato da un rappresentante legale della società (es. Amministratore delegato, Presidente, ecc.), e deve riportare le misure concrete che le società intendono attuare (o che intendono attuare nell’anno in corso) per rafforzare la presenza femminile ai vertici della società stessa;
- analisi sulla presenza femminile nel contesto decisionale economico europeo (Women in economic decision-making in the EU: Progress report – marzo 2012);
- consultazione pubblica sulle ultronee e possibili misure europee da intraprendere.