By Marco Tarpi
Mentre mi accingo a scrivere l’articolo sulla parità dei diritti mi è apparso nei ricordi della mente la trasmissione di Ballarò del 9 aprile ed in particolare il duello verbale o il non-dialogo tra il finanziere Davide Serra e l’attivista e ambientalista indiana Vandana Shiva.
Non entro nel merito della discussione perché la storia dei due interlocutori ed il loro background culturale è diametralmente opposto.
Penso sia corretto però tentare di definire un paradigma comune per comprendere il ruolo della donna nel motore economico globale o almeno l’obiettivo a cui si vuole tendere.
In questo si colloca la domanda ed il ragionamento per capire dove si trovi e quale sia la parità dei diritti nella relazione di genere uomo-donna.
Da questo punto può partire la discussione.
Tralasciando il sacrosanto diritto umano di pari accessibilità ed opportunità nel ricoprire qualsiasi ruolo o posizione da parte di un uomo o di una donna, vorrei focalizzare l’attenzione su altri temi.
Innanzitutto la parità dei diritti può essere un concetto universale o globale in tutti i suoi aspetti? Le tradizioni o le culture possono avere una profonda influenza sulla declinazione dei diritti? Possiamo parlare di una parità dei diritti interculturale o è meglio parlare di parità in funzione di razza, cultura e religione?
Vandana Shiva, economista-ambientalista e famosa studiosa dell’ecologia sociale, ritiene che il rispetto dell’ambiente e la salvaguardi della natura siano concetti fondamentali. Nel 1991 Vandana Shiva ha fondato Navdanya (che in hindi significa "nove semi") il movimento incentrato su una gestione femminile, dal quale nascono i primi accordi internazionali per la protezione della biodiversità e la repressione della biopirateria. Nel 1993, Vandana ha ricevuto anche il Right Livelihood Award, il premio Nobel alternativo.
Durante la trasmissione si è visto un duello accesso tra la posizione di Shiva e quella del finanziere Davide Serra che, senza entrare nei contenuti, è sicuramente identificabile da caratteristiche tipiche di un modello deterministico, matematicamente calcolato, sicuro e ripetibile.
Allora poniamoci la prima domanda: per Shiva una donna che assumesse il pensiero e le idee di Davide Serra avrebbe raggiunto la parità dei diritti? Sicuramente no e lo stesso se invertiamo i due attori in gioco.
Se invece analizziamo la parità all’interno dei due diversi schemi culturali (diciamo quello global-capitalistico e quello ambientale-indiano) la possibilità per una donna di raggiungere la posizioni dei due contendenti sarebbe indice di una parità dei diritti raggiunta.
A suffragio di questa idea, una famosa giornalista italiana scrisse: “una come Vandana Shiva o una come Ina Praetorius possono andare bene per scrivere libri o per tenere certe ispirate conferenze, allora sì, si possono anche lasciar parlare, ma non devono pretendere di fare politica, non devono voler mettere i piedi nel piatto. Insomma, sono pre-rottamabili.
Quindi una donna sta dicendo ad un’altra donna (di cultura ed origini diverse) che non può esprimere una posizione politica ma sono fare, diciamo, “filosofia” …
Siamo di fronte ad un caso di non parità dei diritti che si caratterizza quasi come uno scontro di culture.
Qui il discorso si fa interessante.
Se uno è contro il neoliberismo oppure è critico rispetto al mondo governato dalla finanza non ha i diritto di parlare; se invece il pensiero è quello di governare e gestire le dinamiche economiche secondo le leggi della finanza allora la parità dei diritti può essere garantita.
Interessante e meritevole di riflessione, questa posizione. Non mi permetto di avventarmi in una discussione sui torti e ragioni delle due posizioni.
MI permetto di dire che la parità dei diritti deve essere un diritto garantito da tutte le culture e nazioni che spinga alla salvaguardia della natura e dall’altra parte la identificazione di regole e modelli economici che permettano lo sviluppo dei popoli e delle nazioni senza idee precostituite.